lunedì 4 aprile 2005

Ricordi - 4 aprile 2005

La mia Memoria...

Pochi conoscono la mia storia ed è da poco che son riuscita a comporne quasi tutti i pezzi...pare un difficile rompicapo che è ancora custodito in parte dalla mia mente...ora posso raccontarvi i miei ricordi e la voce della mia sorella gemella perduta che mi giungeva attraverso il vento che sempre mi avvolgeva...

Imago d`argento: passano i soli e le lune fra le sabbie,
nelle quali i miei piedi sentono la morbidezza.
Vedo lontano un`immagine...
la mia famiglia...
e tu con essa... riflesso di me...
in un altro tempo...


Shatiel: Lunga è la mia storia e colma di prove ardue e difficoltà, a cui tutti noi, in modi e tempi diversi, fummo sottoposti. Chi non ebbe la forza di superarle perì, o forse fu solo il loro destino, per far si che il mio si compisse.

Imago d`argento: E mentre il destino della mia immagine vedeva il suo crearsi,
fra cielo e terra,
condotta dal vento,
io vedevo volti correre nel fuoco e bianche vesti segnare la mia strada...
Un destino per un altro...
coloro che si opposero...
coloro che furono distrutti da esso e per concludere NOI...
che lo spezzammo con le nostre mani...

Shatiel: Ricordo, o forse sogno, mio padre, un abile artigiano che viveva in un piccolo accampamento, di abili mercanti, a sud della Britannia.
Lui si spostava molto per i suoi viaggi, e quando ero piccola e mi raccontava che attraversò tutta la Celtia, le Gallie e che poi, finalmente, giunse anche in Eriu, nell`isola dove nasceva Tara su un alto colle verde.
Ivi, nelle sue meravigliose terre verdi, che per lui fu difficile abbandonare, magnetizzato dai meravigliosi paesaggi e dalla natura lussureggiante, da cui traeva ispirazione per i suoi magnifici lavori, esemplari senza pari, strumenti d’eccellente fattura, riprese il suo lavoro.

Imago d`argento: suonava la dolce melodia della notte intrisa di stelle,
come il miele ambrato che profuma i fiori di Moy-Mell;
sussulto al richiamo del vento..
lì fra le coltri della nebbia,
se mai riuscirò ad aprirle, vedrò..
fra il dipanarsi del velo argenteo i tuoi occhi neri osservarmi..
profondi come la notte.

Shatiel: Mio padre fu l’artigiano al quale furono affidate anche numerose commissioni alla corte del re di Tara; le sue abili dita lavorarono per il bardo, figlio del re medesimo, una magnifica arpa, dalle corde dorate come i raggi del Sole stesso e dal legno di quercia intagliato, il più pregiato che occhio avesse mai potuto ammirare.
Il figlio del re lo ringraziò offrendogli in cambio un grande onore: un dono.. qualunque dono esso avrebbe potuto desiderare.
Uomo saggio, oh amato padre; la sua risposta lasciò compiaciuto il giovane principe.. quando l’ispirazione fosse a lui giunta, rivelandogli il dono migliore da richiedere, sarebbe tornato egli stesso dal bardo per richiedere quanto pattuito.
Mio padre non amava molto vivere a Tara.
La dorata capitale dell’isola, anche se era la più ricca e bella città che potesse esistere non confortava l’animo dell’artista e la sua brama di libertà; come un animale solitario prediligeva vivere nei boschi al confine delle mura, nutrendosi dell’aria fresca e beandosi dell’abbraccio stellato della notte.

Imago d’argento: mai ho visto il tuo dolce viso, immagine di sogno...
padre delicato come i fiori dei prati di Tir-na-Moe… vivi lì forse?
In eterno discorrere con i miei Dei?
… e quali nuvole grigie striate di tetri pensieri hanno accompagnato la tua giovane esistenza?
… avvolta dalle sabbie dell’Isola attendo che le onde mi parlino di te...
che mi parlino di lei…
adorata sorella…


Shatiel: Molti anni passarono e lui visse da solo, nell’immenso verde bosco dell’isola, con una donna dallo sguardo gentile e le mani bianche come nuvole di neve; essa gli diede due figli maschi, intelligenti e volenterosi. Crebbero dotti e amati dagli Dei aiutando le idee del padre a vedere la luce materialmente nella bottega di famiglia.
Ma la notte si addensò su quella dolce gioia imponendo il suo triste tributo.
La dolce madre dei due fratelli morì, durante il rigido l’inverno, indebolita nel corpo e nello spirito dalle fatiche del lavoro… lasciando il vuoto in mio padre, sensibile e devoto.
Lui crebbe da solo i due figli maggiori, con la forza di un genitore amorevole, fino a quando incontrò a Tara una giovane donna, a cui la luna argentea non avrebbe potuto rendere giustizia.
Tutti l’avrebbero giudicata la più bella di quella epoca con un solo sguardo: lunghi capelli dorati e occhi profondi… corpo levigato e movenze aggraziate… un sussurro di vento estivo fra le acque del mare.
Il suo nome era Charis e fu lei mia madre.
Non fui tuttavia la prima vita frutto di quell’amore: un piccolo germoglio carico di forza e conoscenza nacque donando nuova luce a mio padre: Lhiink, mio fratello… che ebbe cosi dodici anni di differenza da me.
L’unione dei miei genitori dette vita a molti anni felici.
Charis comunque aveva dei doveri; essendo lei una grande sacerdotessa spesso si doveva recare all’isola di Salmaest, laddove dimorava il Sacro Ordine della sua casta: la casa bianca delle vergini.
Ivi dovette recarsi per mantenere una promessa infranta quando scelse di vivere come “donna”.
In uno dei suoi ultimi viaggi, quando era di me incinta, qualcosa cambiò.
Mio padre la scongiurò di non partire nelle condizioni che gravavano su lei, ma Charis non volle sentire ragioni, caparbia e decisa, forte e coraggiosa.
Partì nonostante tutto, promettendo di tornare appena avesse partorito alla presenza delle sue antiche consorelle… chiedendo perdono alla Dea per la sua rinuncia nel servire la Sacra Casta.
La Dea voleva però il suo tributo… il tributo di una strada spezzata.

Imago d`argento: Nebbie sui lidi del tempo infinito,
mossi da mani argentate come lune di stelle avvolte,
arriva la barca accompagnata dalla forza divina,
veleggia con grazia e nella sabbia di cristallo si ferma.
Attendono sulla riva le cinque figure di bianco avvolte,
mentre sulla tortuosa scala che si inerpica sugli speroni rocciosi scomparendo fra le cime del monte nero,
due uomini reggendo due corni dorati trascinano le vesti rituali salmodiando antichi versi.
Giunge infine fra le querce, la signora azzurra che del lago è dama..
cammina con grazia per accogliere al suo petto l`antica figlia che il vento divino a sé ha ricondotto.
Ella ha le mani bianche e i capelli argentei sfiorati dalla brezza che dal reale mondo giunge...
Occhi di ghiaccio che fendono le nebbie e nel grande pozzo sempre tutto possono vedere e sapere.
Scende la fanciulla dalla barca leggera giungendo fra le sorelle e la madre e il Sapere.
Scosse dal vento dell`isola di Salmaest,
le chiome delle querce salutano la sacerdotessa tornata...
un canto fra le nebbie assume forma piano mentre le nuvole lasciano posto ai raggi divini
che dolci avvolgono l’ isola fatata.
La grande sala costruita fra le rocce della montagna nera appariva in verità come un simulacro inviolabile.. su un lato si apriva, percorsa da colonne scure come ebano rivestite di edera verde e menta profumata alla base, il paesaggio fatato che si crogiolava nella bellezza della laguna avvolta dalla grigia nebbia e dal bosco di querce nel quale si perdeva la scala dai gradini lisci.
La dama dava le spalle alle due sacerdotesse una delle quali evidentemente incinta. Poche parole come voci nella tempesta per ricordare antiche promesse.
"Charis lo sai" parlò la dama "vigono regole ferree e la Dea ha parlato"
Le vesti bianche della sacerdotessa incinta tremarono appena percorse dal vento che dalla balconata spirava verso il cuore della montagna. La ragazza dai capelli fulvi accanto a lei poggiò le mani sulle sue spalle per sostenerla.
"Non mi puoi chiedere questo Grande Madre" si inginocchiò Charis stringendo le vesti fra le dita scrollando il biondo capo ricciuto.
"La Dea ha visto figlia mia" la dama volge ora gli occhi viola lontano fra le nebbie del tempo " e vuole una vita per una vita..." con sofferenza.
"Te ne sei andata Charis" chinandosi la seconda fanciulla sorrise con un piccolo sforzo alla ragazza disperata "Sei andata a Tara aprendo le nebbie dell`Isola... violando il nostro voto, ma la Dea ti ha perdonata perché sapeva che un giorno una nuova vita avrebbe preso il posto da te lasciato"
"Come puoi dirlo così Mialee? " chiudendo le braccia a protezione del petto piangendo con le iridi scure solcate da dolore e commozione.
"La tua prima figlia... lei vedrà i suoi passi seguire quelli degli Dei, Charis" i lunghi capelli argentati scossi dal vento "più camminerà più il suo aspetto muterà... i suoi capelli assumeranno i riflessi della Dea che ora ti separa dalla creatura solo per benevolenza e tu... non tornerai a Tara da sola"
Suonarono strane quelle parole alle orecchie di una madre straziata, ma del vero era racchiuso in esse.. come se la voce del vento avesse voluto donare alle lacrime versate quel giorno un nuovo corpo e una nuova forza...

Shatiel: Tornò Charis dal marito in pena, tornò cinque mesi dopo, con me tra le sue braccia, mentre il vento mio fratello spirava sulle mie spalle. Il volto però nascondeva il dolore del cristallo spezzato; appariva mesta con una strana espressione di dolore nelle iridi nere: qualcosa dilaniava il suo cuore lasciandola in balia della preoccupazione come se avesse lasciato parte di sé nel luogo in cui si era recata. Ma mio padre presto riuscì a farle tornare il sorriso.
Io, una bimba così bella e candida, simbolo spirituale di un amore senza tempo… prima figlia fra molti maschi, voce dell’aria…dal canto delicato.

Imago d’argento: passeggia mia immagine, riflettiti in me…
tu sei la luce solare…
io quella lunare…
voglio sfiorarti sentire che ci sei…
ma l’alba e il tramonto sono le uniche soglie che ci consentono di udire con chiarezza i nostri canti...
Prego allora il vento...
tuo fratello fedele...
che possa farti sentire i battiti del mio cuore...
perché so che ci sei...
che esisti e sei lì…
dove un giorno anch’io sarò.


Shatiel: Crebbe la piccola bimba fino a compiere otto anni: sana e coraggiosa.. orgoglio dei suoi genitori.
Un giorno mentre nel cielo volavano quattro cigni mio padre ricordò.. ricordò la promessa del principe dell’Isola e seppe cosa richiedere.
Chiese a lui, Ossian, di istruire la figlia alla lettura e alla scrittura oghamica, di affinare le arti di bardo che sapeva crescere nella fanciulla giorno per giorno, radicate e piene di potenza e grazia.
Shatiel, silenziosa eppure dotata della forza del canto, questo il mio nome.
Ero così entusiasta di poter passare le mie giornate nei boschi col mio maestro, intelligente e pieno di cura e dolcezza per me; gli volevo bene, così bene che con lui avrei passato l’intero arco delle giornate senza mai conoscere noia o stanchezza.
Appresi da lui le storie e le leggende della terra in cui vivevo e a comporre poesie e lodi, tuttavia la mia strada si interruppe all’età di dodici anni… quando l’oscura onda delle aquile discese su noi… sull’Isola… frantumando la pace e la serenità in cui avevo vissuto la mia fanciullezza.
Una notte giunsero, giunsero i Romani.
Sulla costa sbarcarono… come una marea piumata, giungendo fino a Tara, ma non sembrava che volessero conquistare, erano troppo pochi; forse solo una scorreria per osservare il campo e le forze della nostra verde terra e coglierne le debolezze e le forze.
Ciò non impedì loro però di depredare la città, incendiare le case, uccidere molte persone e prendere come ostaggi molte donne e bambini per i loro sporchi divertimenti.

Imago d’argento: conobbi le loro ali e i loro gridi di guerra;
fiamme ci uniscono scarlatte e cremisi,
urla di dolore, disperazione e morte,
sorella tendimi la mano..
aiutami a spezzare quel velo… perché non sono lontana..
sono lì a difenderti..
a difenderti con la vita.


Shatiel: Durante la notte si accamparono nel bosco, silenti come predatori dagli artigli ricoperti di sangue: trovarono la casa della mia famiglia.
Solo io, i miei due fratellastri e nostra madre eravamo presenti in essa quella funesta sera.
Lhiink era andato ad aiutare in città per spegnere gli incendi; quando tornò a casa era tutto distrutto, i nostri fratelli erano gravemente feriti e mentre erano in agonia gli riuscirono a confidare chi aveva fatto quel massacro e che, essendo donne, avevano portato con loro me e mia madre. C’erano molte impronte sul terreno a dimostrazione di ciò e Lhiink potè giungere fino alla costa.
Lì mio fratello vide la nave romana salpare; nella sua mente qualcosa si ruppe e con la forza di un giovane uomo disperato decise di seguirla per salvare i suoi parenti.
Chiese aiuto a tutti coloro che avevano perso qualcuno e che, quindi, avevano perso una parte di sé in quella notte dominata dalle ombre insane dei rapaci. Organizzato un piccolo gruppo di coraggiosi Lhiink partì senza una meta precisa… condotto dai suoi Dei.
Quando le donne e gli altri ostaggi giunsero in Celtia dovettero viaggiare con le proprie forze per lunga strada; le scorte alimentari iniziarono a scarseggiare cosicché i romani li abbandonarono alla loro sorte in mezzo ad una fitta foresta senza preoccuparsi delle vite che indebolite rischiavano di spezzarsi.
Charis, mia madre, saggia e predisposta ad aiutare gli altri, si privò di tutto ciò che poteva dare per permettere a me e altri di vivere, lasciando che la sua vita, abbracciata dai Dé Danaan volgesse verso l’ultimo viaggio: l’Annwn.

Imago d’argento: si ruppe il mio animo..
e il cielo si squarciò..
crebbe la distanza che da loro mi separava…
dolce e amaro il suo bacio si posò sulla mia pelle marchiandolo come un presagio…


Shatiel: Mentre piangevo disperata fui presa per mano da un uomo, che, come me, faceva parte del gruppo degli ostaggi… assieme a lui viaggiammo molto dirigendoci verso sud della Britannia.
Un giorno una tribù del sud ci trovò stremati e affamati e ci accolse in città.
Lhiink insieme agli altri viaggiarono per l’isola britannica nella nostra disperata ricerca.
Quando riuscirono a scoprire la verità e quello che era successo, uccisero tutti i romani della banda che aveva operato il rapimento senza pietà, recidendo i loro capi come monito; essi stanziavano presso la costa in un piccolo e disorganizzato accampamento. I nostri fratelli guidati dalle sagge parole di mio fratello iniziarono a cercare in ogni città segni dei dispersi mentre la disperazione aumentava nei loro cuori.
Un giorno trovarono in una foresta dei tumuli, un indizio che ridette la gioia agli occhi ormai spenti di Lhiink: sopra uno dei tumuli un raggio di dolce luce filtrante dalle foglie degli alberi colpiva un oggetto: una pietra sul quale era poggiata la collana di nostra madre: Charis.
La paura che fossi morta anch’io colse Lhiink nel raccogliere il monile.. come un infausto presagio, ma poi si accorse di alcuni segni, lì, sul tronco di una quercia che troneggiava silente di fronte all’uomo: un grande sole con inciso nel suo diametro una scritta: Charis, il nome che ormai segnava la mia vita.
Lhiink ne fu felice perché sapeva chi aveva imparato a scrivere in ogham, e potevo esser solo io, la sua amata sorella, istruita a Tara.
Lui continuò a cercare in lungo e in largo, anche da solo (le persone che lo avevano seguito avevano perso ogni speranza), per molti anni: camminava nel buio guidato da quel raggio di Sole senza timore.
Un giorno giunse a Durovernum in Cantia, fulcro delle terre in cui eravamo approdati soli prima, innumerevoli soli prima, e decise di ripartire da capo, proprio da lì, dal simbolo del Sud, che da sempre aveva vigilato su queste terre.

Imago d’argento: scostiamo quel velo fanciulla dalla voce divina... scostiamolo assieme in modo che le nostre dita possano nuovamente sfiorarsi…
lontano dal tempo e dal mondo…
pregherò i miei Dei affinché si possa rincontrarsi presto.